Lot 375: Carlo Erba (1884-1917)

Fiori
firmato Erba (in alto a destra)
olio su tela
cm 80x90
Eseguito nel 1912
Autentica di Marco Rossi Lecce e Francesca Franco su fotografia

Milano, Accademia di Belle Arti di Brera, Esposizione Nazionale di Belle Arti, Milano, settembre - ottobre 1914
Genova, Palazzo della Meridiana, Carlo Erba 1884-1917. Immagini di un Grande Maestro, 11 novembre - 11 dicembre 1988, cat., p. 45
Bologna, Galleria Russo, Arte Fiera, 27-30 gennaio 2005
Roma, Complesso del Vittoriano, Segnali di Primavera, III edizione de "Il Salone di Maggio", 4 aprile - 23 aprile 2006, cat., p. 39

L. Caprile, T. Leopizzi Cerutti, Carlo Erba 1884-1917. Immagini di un Grande Maestro, Genova 1988, p. 45 tav. 12
C. Siniscalco, Segnali di Primavera. III edizione de "Il Salone di Maggio", Roma 2006, p. 39.

Collezione Rossi Lecce, Roma

L'opera fa parte di un trittico di soggetto floreale realizzato da Erba alla fine del 1912 e presentato nell'autunno del 1914 all'Accademia di Brera per l'Esposizione nazionale di belle arti. Un altro elemento del medesimo trittico è in coll. priv., Roma (già coll. Rossi Lecce, Roma, ripr. in Carlo Erba 1884-1917. Immagini di un Grande Maestro, Genova 1988, p. 46 tav. 13).
La decisione di esporre in tale occasione un lavoro precedente sia alla ricerca futurista del 1912-13, sia alla recente esperienza nel gruppo Nuove Tendenze (1914) dice molto dell'importanza attribuita dall'artista a quest'opera. La quale, di fatto, trasforma dall'interno la tradizione pittorica lombarda, segnando il momento di cesura tra la conclusione divisionista del naturalismo tardo-ottocentesco e l'avvio di una nuova, più moderna, sperimentazione. Piuttosto che descritti per il loro senso lirico o simbolico, i fiori dipinti da Erba possiedono, infatti, una valenza comunicativa assoluta nella loro autonoma strutturazione ritmica di forma-luce-colore, grazie alla quale l'artista supera ogni tentazione rappresentativa, arrivando ad affermare che "anche con tre quadri di fiori si può manifestare un concetto di unità spirituale" (C. Erba, Lettera a Luigi Erba del 7 agosto 1914, in E. Crispolti - S. Massari - M. Rossi Lecce, Carlo Erba una memoria nel futurismo 1884-1917, cat. mostra Istituto Nazionale per la Grafica-Calcografia, Roma 1981, p. 254 n. 28).
La separazione dallo spleen romantico e crepuscolare dell'Ottocento riflette, in Erba, una personale ribellione al pensiero positivista di una Milano borghese e imprenditoriale che, proprio di quello spleen, costituiva l'altra faccia della medaglia. Tale ribellione lo aveva portato - lui, rampollo di una delle più importanti famiglie lombarde, legato per vincoli di parentela ai Visconti di Modrone e agli Odescalchi - a lasciare la facoltà di chimica e a rinunciare a un avvenire sicuro quale direttore dell'omonima ditta farmaceutica per volgersi, con entusiasmo, a un destino incerto di squattrinato pittore d'avanguardia, bohemien anarchico e poi volontario e tenente degli alpini al fronte, dove avrebbe scoperto l'assurda morte di una "guerra che non ha vessilli e non ha inni" (C. Erba, Note sulla retorica di guerra, cit. in op. cit., p. 264 n. 54). Per questo è possibile affermare che tra l'intensa bellezza di quei suoi fiori dipinti nel 1912 e l'ambigua opulenza degli attuali Flower Painting di Marc Quinn si consumi la giovinezza e la perdita d'innocenza dell'uomo contemporaneo.
Francesca Franco

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