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Lot 74: Carlo Sellitto (Napoli 1580-1614), Salomé ed Erode con la testa del Battista

Est: €25,000 EUR - €30,000 EURSold:
Cambi Casa d'AsteGenoa, ItalyDecember 10, 2020

Item Overview

Description

olio su tela, cm 76x102 entro cornice dorata coeva, È questo il caso in cui è opportuno introdurre l’olio su tela in esame, il reperto che si va recensendo, proponente in una bella ma un po’ sofferta cornice dorata coèva, Salomè Erodiade ed Erode con la testa del Battista, seduti come avventori a un tavolo e circondati da altri figuranti atti a trasfigurare un’osteria napoletana del XVII secolo nella reggia del re, muovendo da alcuni cenni biografici del più che indubbio autore, per gli indizi che se ne potranno trarre in merito al suo “fare”. Una pittura che richiama, dunque, nella conduzione talvolta un po’ affrettata come si confà a uno studio preparatorio forse d’un maggiore formato, uno specifico frangente e la sua cultura pittorica, un orientamento linguistico inconfutabile, stante l’indiscutibile presenza di un autore ben noto. L’opera difatti spetta senz’altro a Carlo Sellitto (1580-1614), l’artista che ha assorbito fra i primi in area napoletana la lezione caravaggesca, com’è comprovato nel dipinto ch’è oggetto di queste note critiche. Lo scenario artistico in cui costui si forma ed esordisce – dobbiamo pertanto dire – corrisponde grossomodo a quel momento e quel clima di passaggio tra una tarda maniera e il nuovo naturalismo che, a cavaliere tra ultimo scampolo del Cinquecento e il primo Seicento, avrà infine il suo alfiere nel Caravaggio. Precisamente in quest’empasse va a collocarsi, ma in bilico, il nostro pittore la cui identità corrisponde al secolo al nome di Carlo Infantino, altrimenti noto come Carlo Sellitto per aver adottato, tanto quanto il padre Sebastiano, pittore e indoratore originario di Montemurro (Potenza), il cognome matrilineare dei Sellitto. Il Nostro nasce a Napoli da Lucente de Senna, informa Prota-Giurleo (1952) e dal montemurlese Sebastiano che per primo lo indirizzerà all’arte. Viene battezzato nella parrocchia di S. Giovanni Maggiore il 10 luglio 1580 (Stoughton, 1977; Barbone Pugliese, 1983), muore poco più che trentenne a Napoli, il 2 ottobre 1614 (Prota-Giurleo, 1952). Dopo aver assunto i rudimenti del mestiere sotto la guida paterna, quindicenne collaborò con Girolamo Imparato all’esecuzione di un «quadro de una Madonna», su commissione del vescovo di Ariano Alfonso de Herrera (De Mieri, 2008). A ciò seguì il passaggio presso l’atelier del carrarese Giovanni Antonio Ardito, dove il giovane fu posto a «creato» (Prota-Giurleo, 1952), stando a Cesare Soriano, testimone alle nozze di Carlo con la vedova Porzia Perrone (30 marzo 1613), come si evince assumendo il testo della puntuale voce del Dizionario biografico degli Italiani. Un nodo un po’ ingarbugliato e che potrebb’essere sciolto riguarda il momento del primo salto qualitativo della sua parabola artistica. Giacché non è stata accertato su base documentale o secondo altri elementi probatori il dichiarato (dalle fonti e dalla prima letteratura) discepolato presso il mal documentato fiammingo Louis Croys, fortunato ritrattista attesta l’archivio (De Mieri, 2008), la cui dissipazione non permette tuttavia di quantificarne il portato figurativo all’interno del primo laboratorio creativo sellittiano. Mentre invece è possibile confermare altri nutrimenti che Sellitto poté contrarre dalla frequentazione dell’atelier e dell’ambito di riferimento, dove ebbe modo di formarsi anche una qualche competenza musicale grazie all’incontro con il compositore Giovanni Maria Trabaci (Prota-Giurleo, 1952), committente nel 1613 della S. Cecilia ora al Museo di Capodimonte, ma destinata alla cappella omonima nella chiesa napoletana di S. Maria della Solitaria (de Lellis, ante 1689, 2013; Causa, 2008). Tanto che, al momento del trapasso che lo colse trentatreenne, si ha certezza di un suo possesso – l’inventario dei beni che data 1614 – di «uno organo et uno ciambalo, [...] dui liuti, dua tiorbia et due chitarre» (Prota-Giurleo, 1952). Un secondo inciampo pare riferirsi ancora una volta alla cultura figurativa degli esordi di Sellitto, segnati, parrebbe, da una piena adesione alla tradizione tardomanieristica partenopea (Causa, 1995; De Mieri, 2008) che resta invece di superficie, tradendo altre germinazioni profonde, altri interessi e orientamenti occulti. Resta vero che il Sellitto esprime un lessico delocalizzato rispetto a un ricco epicentro come la stessa Napoli e lontano dai fasti romani. Potrei anche dire: un lessico regionale e almeno in parte, dialettale, seppur innervato di accenti desueti che potrebbero pur riferirsi al Croys – come attesta la Madonna del Rosario e santi nella chiesa domenicana di S. Maria del Popolo a San Chirico Raparo, borgo potentino a poche miglia da Montemurro (De Mieri, 2008) – e con maggiore evidenza ad altri rappresentanti, più documentati, della colonia fiamminga attiva in Napoli in questo tempo, quali Dirck Hendricksz e Aert Mijtens. Questi assunti stemperano e al tempo stesso confermano l’altro e più sentito orientamento del Nostro, facente capo, sullo scorcio del Cinquecento, all’opaco, vago e un po’ artificiale naturalismo ‘riformato’ di Fabrizio Santafede. Sellitto, d’altro canto, ebbe a collaborare, nel 1598, con il Santafede alla doratura – lui, figlio di un valido doratore – dell’ancona con l’Immacolata Concezione per la chiesa dei cappuccini di Aversa (Prota-Giurleo, 1952). Quest’inclinazione che va traducendosi in un pathos tra il devozionale e il popolare che si somma all’inferenza dialettale foriera in questo caso d’un più schietto e laico lessico figurativo, liberandosi da ogni suggestione derivante da quest’incontro, trova conferma nella susseguente maturazione sua di cui è testimone la coeva Madonna degli angeli tra i ss. Francesco d’Assisi e Antonio di Padova della chiesa di S. Nicola di Bari a Lauria Superiore (Potenza), correttamente attribuita a Sellitto da Maria Vittoria Regina (2004). Sennonché, emerge pure un sentore baroccesco dei santi e dei cherubini (De Mieri, 2008) che torna ad allargare l’orizzonte dei possibili nutrimenti artistici del Sellitto, predisponendolo, a sua stessa insaputa al momento, all’ulteriore scarto che a breve lo travolgerà. Tutto il contendere, in vero, ruota sia per il prima che s’è sommariamente riassunto appoggiandoci alla letteratura sia per il dopo su cui verremo a insistere, sull’opera sua firmata, la Madonna del suffragio con le anime purganti e donatore della chiesa di S. Luigi Gonzaga ad Aliano (Matera). La tela è ben nota in virtù della presenza “in abisso” del tanto apprezzato ritratto del committente; un buon ritratto – richiamante molti autori napoletani e romani, ma anche d’altra provenienza – comprovante l’avvento del genere che fa appunto del “ritratto” un nuovo e fecondo tema pittorico e un punto di forza del Nostro. Questo stesso ritratto attrasse Ferdinando Bologna, chiamandolo a indagare questa personalità che fiancheggerà il Caravaggio partenopeo. Sellitto appare essere qui aggiornato e consapevole del nuovo che avanza a tal segno da cercare pure di smarcarsi un po’ dall’ombra caravaggesca che lo sovrasta, «già intinto [com’è] di ‘verità’ schiettamente caravaggesca», ma incline ai timbri ispanici come lascia intendere l’acuto appunto di questo studioso che, recensendo la pala, osserva: «si scambierebbe con un pezzo di pittura sivigliana o proto-velazqueña» (F. Bologna, 1991). Mentre invece il brano dei cherubini che sbucano dalle nubi ritorna alla lettera nella devozionale Madonna della Vallicella della quadreria dei Girolamini (Porzio, 2013b), suggerendo altri orientamenti e un passo indietro a cercar di recuperare una figurazione meno audace e ruvida, corriva e popolareggiante. Come si spiega sennò il S. Bruno in preghiera davanti al Crocifisso del Musée des Beaux-Arts di Strasburgo (Causa, 1995)? Trattasi d’un dipinto di evidente autografia sellittiana, a mio parere, che azzarda una contaminazione di forme e di pigmenti, di ombre e di costrutti spaziali appoggiati alla gestualità messa in atto dal santo, intentando forse un qualche rapido consuntivo per poter più liberamente assumere il rivolgimento in atto tentando di stabilire una propria cifra stilistica. Quantunque si debba riconoscere in questo decisivo momento di transizione e di evoluzione o maturazione filo-caravaggesca in Sellitto una qualche difficoltà e una evidente diffidenza proprio nei confronti della tanto rivoluzionaria rivelazione caravaggesca. È così che la sua pittura, pur azzardando brutalismi figurali consoni a meglio assorbire il caravaggismo del momento, manifesta una sordità di fondo proprio nei confronti del nuovo astro sorgente, che perdurerà. Nulla, a conferma di quanto si va dicendo, lascia trapelare nella pittura del Nostro un’inferenza sinergica con le abbreviazioni e i riduzionismi plastici e drammatici che ben si confanno alla stessa conduzione pittorica dirompente del Merisi. Ben più debole è in Sellitto la restituzione puntuale del vero, assunto in presa diretta, sull’esplicito esempio offerto dal Merisi. Vale davvero la pena, a questo punto, di richiamare l’attenzione su sommessi richiami fiammingheggianti che si manifesteranno più schiettamente in un collaboratore e amico del Sellitto, il più giovane Filippo Vitale, transitante egli pure nella bottega del Croys (G. Porzio, 2012), nella misura in cui sembrano lasciar trapelare nel Nostro una volontà di autonomia rispetto al portato caravaggesco e alle sue varie declinazioni partenopee del tempo che, di fatto, non ha grande fortuna generando esiti assai fragili. In ogni caso, un confronto stringente con Vitale che gli è amico – tanto è vero che il suo primogenito sarà tenuto a battesimo dal Nostro e verrà chiamato Carlo (Prota-Giurleo, 1952; D.A. D’Alessandro, 2008) – aiuta a meglio inquadrare lo stile sellittiano. L’elemento distintivo di questo stile è comunque quello che accosta già in termini decisi, in questo frangente, Sellitto a Caravaggio, se guardiamo agli altri artisti napoletani che si rivolgono al Merisi nella speranza di cavarne un rinnovamento. Egli opacizza e addensa le figure, decostruisce le forme, affiancandosi in questo ai seguaci di Spagna del Caravaggio attivi nel napoletano. Ma certo, il paradigma indiziario che si va ricercando si complica. È dunque il caso di riportare un brano della puntuale biografia artistica del Sellitto in cui si commenta con dovizia il S. Bruno in preghiera: «la paternità sellittiana [del san Bruno] si rivela nei sottosquadri angolosi del panneggio, nella caratteristica articolazione prospettica delle dita, nell’indagine impietosa delle carni flaccide e grinzose del santo e persino nella superba ambientazione paesistica, gravida di umori nordici», che dichiaratamente presenta un aggiornamento sulle direttive caravaggesche. In una data interessante anche pel Merisi, il 1607, quand’ormai il nostro pittore ha raggiunto una sua autonomia e dunque una più marcata maturità artistica che è il fondamento su cui impianterà la propria personale interpretazione del caravaggismo, o per meglio dire: l’attuale e ultimo assorbimento d’esso, Sellitto (a riprova di quanto testé detto), redige un’opera come la intrigante Cena in Emmaus, ritrova in una collezione privata spagnola (Papi, 2017). «L’aggiunta – si legge nella nostra referenza storiografica tesa a esaltare questo contributo che implementa il corpus sellittiano – appare tanto più significativa in quanto la tela rappresenterebbe […] l’incunabolo delle molte interpretazioni che del tema avrebbe poi fornito il giovane Filippo Vitale». Una singolare quadratura del cerchio? Del resto, proprio il Vitale si farà carico di curare la vendita di parte dei beni del Sellitto alla morte prematura di quest’ultimo, collaborando forse all’inventario redatto nel 1614 (Mostra didattica..., 1977). Ora si dovrà pur rilevare lo scarto evolutivo del suo stile, e al contempo una persistente resistenza a cogliere da parte del Sellitto non già le invenzioni formali e pittoriche più eclatanti e innovative e perciò cariche d’una trasgressività imbarazzante del fare caravaggesco che il Nostro traduce in un tono basso, popolaresco e, in fondo, assai meno nocivo, quanto il senso della forma caravaggesca, il sapore della pittura caravaggesca, declinate piuttosto in una formatività più apparente che sostanziale e tuttavia d’una sua convincente forza, di una timbricità peculiare. Certo, dialettale e per così dire partenopea e che va traducendosi viepiù in una conduzione pittorica vicina – si è visto – a quella degli spagnoli attivi in Napoli e nell’intero vicereame, oltre che a Roma donde proveniva, transfuga, l’affannato Caravaggio. Un dipingere sellittiano che, perlomeno in questo momento cruciale per la sua arte, sembra dare ragione pure dei ricorsi fiamminghi poc’anzi segnalati, pur attivi sottobanco e in costante rarefazione, come confermerà l’esito delle opere che seguono. Cosicché il nostro Sellitto, proprio nel prendere partito per la falange dei caravaggeschi spagnoli più rudi e sanguigni, più espressionistici e cupi, cercando al contempo di separarsene e fare parte per se stesso, rompe sommessamente anche con Caravaggio. E questo ci accosta con maggiore sicurezza all’opera in esame. Vediamo perché lasciandoci guidare, ancora una volta, dalla asseverata biografia artistica del Sellitto. L’apice della parabola artistica di Sellitto è compreso tra il 1608 e il 1612 e poco oltre, quand’egli fu chiamato a decorare la cappella ‒ «intitulata sotto il nome di San Pietro» ‒ dei bergamaschi Pietro, Giovan Domenico e Annibale Curtoni in S. Anna dei Lombardi a Napoli (Prohaska, 1975; D. de Conciliis et al., 1977) di cui restano le sole due tele laterali, La consegna delle chiavi e L’apostolo Pietro salvato dalle acque, trasferite nella vicina S. Maria di Monteoliveto a seguito del crollo della chiesa nel 1798 (Spinosa, 2005) e pure la pala d’altare – ci informa la storiografia – raffigurante «la Vergine santissima con l’apostolo san Pietro et un altro santo», il tondo nella volta con la «Crocifissione di san Pietro» e «i due [quadri] piccioli» al di sopra dei laterali, «in uno con la figura di San Francesco, nell’altro di San Domenico» (Celano, 1692, 2010), il primo dei quali è stato collegato al S. Francesco in atto di ricevere le stimmate di collezione privata, recentemente tornato alla luce (Porzio, 2011 e 2014). Per l’economia del nostro dire ha maggiore rilevanza tuttavia – mettendo da una parte la ritrattistica che lo rese celebre a Napoli e di cui restano minime testimonianze: il Ritratto di Adriana Basile presso l’antiquario Porcini a Napoli (Bologna, 1991; Porzio, 2017), eseguito poco prima del trasferimento della celebre cantante, nel maggio del 1610, alla corte mantovana di Vincenzo Gonzaga cui era con molta probabilità indirizzato – il secondo soggiorno napoletano di Merisi (1609-10), allorquando, verosimilmente, Carlo Sellitto ebbe forse modo di incontrare l’artista milanese già celebre, tanto che sul suo operato romano esprimerà un giudizio assai lusinghiero – ben conosciuto – il contemporaneo Carel van Mander (“Opera anche un Michelangelo d Caravaggio, il quale, a Roma, fa delle cose meravigliose…”). L’incontro tra il Caravaggio e il Sellitto parrebbe dunque verificarsi nel cantiere di S. Anna dei Lombardi, per il quale Caravaggio, com’è noto, realizzò tre quadri, oggi perduti: vale a dire le opere per la cappella Fenaroli (M. Cinotti, 1983). Al 1610-11 può essere ascritta a mio avviso, forse proprio a seguito di una tale esperienza, ovvero autonomamente rispetto a quest’incontro pur incisivo per il nostro Sellitto, una nuova maturazione filo-caravaggesca del Sellitto, ma già venata da altre attenzioni che porteranno il Nostro di lì a breve verso i bolognesi e alla scoperta di Guido Reni: è intorno a questa data che forse si colloca il S. Antonio di Padova e angeli della chiesa della Ss. Annunziata di Arienzo (Petrelli, 1985), di cui è stata identificata di recente una seconda redazione, divisa in frammenti tra il Museo Antoniano di Padova e il mercato antiquario, e realizzata, al pari della prima, sembrerebbe, con il concorso della bottega (Porzio, 2013a). Opera che propone una impostazione, una organizzazione illuminotecnica, un’economia figurale assonanti a loro modo con quanto si va esaminando quantunque se ne discosti per una maggiore secchezza. La presenza del Reni a Napoli, nel 1612 (F. Bologna, 1960), può ben motivare quest’attrazione nel Nostro – peraltro già in caccia di altri nutrimenti nel ’10 – che guadagna, appunto intorno a questa data, una rilevanza programmatica e dunque una maggiore evidenza. Al tempo stesso essa giustifica con l’inquietudine anche le assunzioni pur circospette che Sellitto opera rivolgendosi appunto al Reni nel corso del 1612 al quale chiede, evidentemente, di restituire un po’ del perduto “decoro” alla sua figurazione. Se ne ha conferma nella S. Cecilia del Museo di Capodimonte. L’opera che si osserva e di cui si vorrebbe tentare una lettura critica convincente inizia a trovare così i suoi riferimenti, quest’incontro macabro attorno a un tavolo tra la peccaminosa Salomè e la perfida madre e il loro re, racchiudendo in sé tutti gli elementi indiziari sin qui richiamati, pare cadere presumibilmente dopo il 1612, in linea con lo sviluppo riscontrabile tra 1610 e 1612, quando Sellitto propone un’ancor più caravaggesca Adorazione dei pastori – afferente al complesso napoletano di S. Maria del Popolo agli Incurabili (Prohaska, 1975; Pacelli, 1984), a lungo attribuita, a riprova dell’intonazione merisiana dominante, a Battistello Caracciolo: al seguito della iscrizione dichiarata da Bernardo De Dominici (1742-1745 circa, 2003) – che, purtroppo, si sottrae al desiderato confronto con il nostro reperto giacché non si lascia leggere correttamente, stante lo stato indigente in cui versa. Viceversa l’opera in esame mostra una condizione fisica o materiale buona, anzi invidiabile. Essa consente una lettura testuale corretta, favorisce un esame formale puntuale. Ne discende per quanto mi compete la convinzione che si tratta di un autografo di Carlo Sellitto tra i migliori e dunque uno dei ritrovamenti dell’ultimo tempo più siognificativi. Non resta allora che misurarne l’effettiva consistenza e qualità formale per stabilire una datazione più precisa, stante la già acquisita autografia sellittiana. Non resta che definirne l’efficacia pittorica e, per sincerarsi in merito a un eventuale slittamento un po’ in avanti della data di esecuzione, una ulteriore verifica. Infatti, converrà tentare altri pur rapidi confronti con i più tardi prodotti sellittiani: le opere ancor più mature, le opere conclusivo dell’artista. Si dovrà in ogni caso riconoscere nel dettato della nostra tela un’ibridazione arricchente d’altre inferenze in linea con l’ultima manifestazione stilistica sellittiana. Com’è attestato, poniamo, dal S. Carlo Borromeo eseguito per la cappella Ametrano in S. Aniello a Caponapoli e ora anch’esso a Capodimonte (Causa, 2008), di cui è nota una seconda versione. Sono quest’ultime opere, unitamente alla bella e al solito un po’ ruvida e selvatica Maddalena penitente, sempre esposta a Capodimonte e che raffigura sicuramente un ritratto muliebre (Porzia, forse?) i dipinti del Sellitto che ho conosciuto e apprezzato per primi, condizionando il mio stesso approccio ermeneutico, anche perché veduti assieme all’architetto del Museo di Capodimonte, Ezio De Felice. Ricordo che l’architetto De Felice ne era persino affascinato riscontrandone – e rivendicandone – un’appartenenza al clima partenopeo tutt’altro che superficiale. Ebbe anche modo di convincermi a riguardare l’opera di Carlo Sellitto con altri occhi. Debbo dunque a questo remoto dialogo l’accensione di un processo conoscitivo che, anni dopo, mi ha fatto riconoscere, finalmente, il particolare caravaggismo agente in Sellitto che esalta le sgrammaticature formali, le accidentalità e le contraddizioni figurali in funzione, parrebbe, di un lessico autoreferenziale, ben affermato specie nell’ultimo Sellitto. Oggi posso trarre anche da questi dipinti di Capodimonte assonanze di per sé parlanti con il dipinto che vado esaminando. Un’opera in cui pare manifestarsi lo struggente disfacimento dello spazio che si fa vuoto inerte e una paritetica riduzione figurale che si traduce in forme governate da un certo riduzionismo eclatante che questo spazio avvolgente contiene ed esalta. All’interno però di una organizzata impaginazione o composizione del gruppo delle figure, in linea con una articolazione semplificata o essenziale che prevale, peraltro, nell’attività tarda del Nostro. Questa nostra tela denuncia presenze caratterizzate da una qualche rigidità e dalle proverbiali sgrammaticature, nonché una posizione o dislocazione spaziale dei personaggi che ancora va cercando una più convincente collocazione. I personaggi raffigurati rispondono, di fatto, a un agire teatraleggiante, governato da gestica e prossemica, e paiono recitare un po’ impacciati o ingessati un copione già scritto. Puntuali orientamenti compositivi anteposti alla stessa composizione pittorica trapelano dal fatto che tutte le figure sono ancorate al volume prismatico del tavolo, vestito d’un panno cromaticamente accostabile ai costumi dei figuranti e certo scelto anche per ragioni allusivamente simboliche. Su di esso si impone, poi, un dettaglio di natura morta che funge da specchio illuminotecnico in grado di restituire le fonti di luce direzionata che governano la percezione e di mostrare la valentia del pittore. Tornano i ritratti, nei personaggi disposti su piani paralleli o intersecantesi nel disporsi attorno al tavolo che occupa il campo centrale dell’opera, secondo uno schema compositivo in via di verifica o costruzione (si è detto: allestito in questi termini secondanti uno schema un po’ rigido probabilmente per essere tradotto in un maggiore formato). Si manifestano pure le ricorrenti citazioni o gli imprestati sin qui richiamati che ne rafforzano l’ascrizione e una probabile datazione tarda. L’opera, in ogni caso, riesce tanto particolare da risultare d’una forza persuasiva accattivante. Attrattiva al di là del soggetto o tema, anche in virtù del fatto che si ha in essa il sentore d’una intenzione pittorica che cerca di superare il peso del lascito caravaggesco pur tanto catturante e anzi pienamente dominante in questo giro di anni, ma ormai svuotato e affiancato da più deboli e vaghe istanze che riescono in qualche modo contaminati. Questo denuncia forse una data verso il 1613. E va manifestando pure un assorbimento ammirato e tuttavia filtrato dei modelli caravaggeschi e una sommessa ritrosia o un’insofferenza velata nei confronti degli ardui modelli del maestro lombardo, segnalata pure, a mio parere, dall’intorpidente e invasiva suggestione prorotta dai caravaggeschi spagnoli attivi a Napoli, oltre che da curiosi richiami com’è per il Reni, per altri ricorsi contingenti, di cui si ha un riverbero anche nel nostro quadro. Se infine vado comparando questa tela con le estreme opere sellittiane – lavori lasciati incompiuti per la prematura dipartita come come un Crocifisso che è stato esposto nella chiesa napoletana di S. Maria in Cosmedin a Portanova (P. Leone de Castris - S. Guida, 1977) e il S. Antonio di Padova con Gesù Bambino già in S. Nicola alla Dogana, oggi nella basilica dell’Incoronata Madre del Buon Consiglio a Capodimonte – e con i testi poc’anzi richiamati che risalgono a un tempo anteriore, ecco che trovo altre conferme della autografia sellittiana del nostro reperto. E una conferma in merito all’ipotetica datazione. Un dipinto di ottima resa e inconfondibile fattura che esprime di per sé una decisa espressività, una convincente fattura, la quale ben testimonia l’affermata nomea che il nostro artista ha guadagnato nel suo ultimo tempo e giustifica, infine, l’acquisizione d’un suggerimento autobiografico offerto dal Caravaggio e certo non facilmente adottabile: il personaggio in controparte che in parte si nasconde dietro il figurante con cappello e il re Erode, seduto in primo piano, è molto probabilmente lo stesso Carlo che, in questo caso, documenta i suoi trent’anni e la sua partecipazione all’evento biblico, adottando appunto, ma non senza un certo estro, l’esempio caravaggesco nell’autoproporsi all’interno del dipinto. Il sin qui congetturato, pertanto, ne riafferma anche la possibile datazione: si è di fronte a un’opera di Carlo Sellitto ascrivibile all’ultima sua stagione, attorno e anzi subito dopo il 1612. Dunque molto probabilmente tra quest’ultima data e, poniamo, i primi mesi del 1613. Il sin qui detto, debbo aggiungere a margine, deve molto agli studi che precedono e in particolare, at last but not least, agli appunti, sempre illuminanti, di quanti ho menzionato a vario titolo (richiamandoli per passione storiografica anche quando non concordavo pienamente con gli esiti loro). La storiografia esistente, infatti, mi ha facilitato il compito e finalmente, desidero riconoscere un particolare debito verso uno studio di Stefano Causa e un saggio in cui la tela di Salomè ed Erodiade che presentano a Erode la testa di Giovanni Battista, è stata restituita al catalogo del Sellitto da Gianni Papi (2001) e viene da quest’ultimo ampiamente dibattuta. Scheda a cura del Prof. Rolando Bellini Bibliografia: C. de Lellis, Aggiunta alla “Napoli sacra” dell’Engenio Caracciolo (ante 1689), IV, a cura di E. Scirocco - M. Tarallo, con la collaborazione di A. Dentamaro, Napoli-Firenze 2013, p. 178; C. Celano, Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli... (1692), Giornata seconda, a cura di P. Coniglio - R. Prencipe, Napoli-Firenze 2010, pp. 4 s.; B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1742-1745 circa), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, II, Napoli 2003, pp. 909 s. (note di I. di Majo), 978 s., 984, 991 s. (note di V. Farina); U. Prota-Giurleo, Pittori montemurresi del 600. Con “Addizioni” del dott. Antonio Ragona, Montemurro 1952, pp. 15-39; F. Strazzullo, Precisazioni sul pittore S., in Il Fuidoro, III (1956), 1-2, pp. 77-79; R. Causa, La pittura napoletana del Seicento a Napoli dal naturalismo al barocco, in Storia di Napoli, V, 2, Napoli 1972, pp. 915-994 (in partic. pp. 920-922, 967 s. note 16-24); W. Prohaska, C. S., in The Burlington Magazine, CXVII (1975), pp. 2-11; M. Stoughton, Mostra didattica di C. S.: primo caravaggesco napoletano, in Antologia di belle arti, I (1977), 4, pp. 366-369; Mostra didattica di C. S. primo caravaggesco napoletano (catal.), a cura di F. Bologna - R. Causa, Napoli 1977; W. Prohaska, S. at Capodimonte, in The Burlington Magazine, CXX (1978), pp. 261-264; N. Barbone Pugliese, Contributo alla pittura napoletana del Seicento in Basilicata, in Napoli nobilissima, s. 3, XXII (1983), pp. 81-99 (in partic. pp. 89 s., 98 note 37-41); V. Pacelli, in Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), I, Napoli 1984, pp. 175, 446-450, nn. 2.232-2.234; La pittura napoletana del ’600, a cura di N. Spinosa, Milano 1984, figg. 721-729; F. Petrelli, Un’ipotesi per C. S., in Storia dell’arte, 1985, n. 54, pp. 209-214; V. Pacelli, Filippo Vitale nel secondo decennio del seicento al seguito di C. S., in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti per la storia dell’arte, Milano 1990, pp. 187-200; F. Bologna, Battistello e gli altri. Il primo tempo della pittura caravaggesca a Napoli, in Battistello Caracciolo e il primo naturalismo a Napoli (catal.), a cura di F. Bologna, Napoli 1991, pp. 15-180 (in partic. pp. 17, figg. 2-3, 19, fig. 5, 30-38, 52, tav. 15, 170-172 note 39-67); F. Navarro, ibid., pp. 262-266, nn. 2.5-2.10; S. Causa, Il giovane S., in Dialoghi di storia dell’arte, 1995, n. 1, pp. 156-163; G. Papi, Una nuova prospettiva per C. S., in Paragone, s. 3, LII (2001), 36, pp. 10-18; M.V. Regina, in Visibile latente. Il patrimonio artistico dell’antica Diocesi di Policastro (catal., Policastro Bussentino), a cura di F. Abbate, Roma 2004, pp. 84-87; N. Spinosa, in Caravaggio e l’Europa. Il movimento caravaggesco internazionale da Caravaggio a Mattia Preti (catal.), Milano 2005, pp. 412 s., n. VI.5; S. Causa, in Museo e Gallerie nazionali di Capodimonte. Dipinti del XVII secolo. La scuola napoletana, Napoli 2008, pp. 175 (tav.), 193-195, nn. 189-190; S. De Mieri, Una cona del Rosario, ed altro, per la prima attività di C. S., in Percorsi di conoscenza e tutela. Studi in onore di Michele d’Elia, a cura di F. Abbate, Napoli 2008, pp. 203-221; G. Porzio, in Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli (catal.), a cura di N. Spinosa, I, Napoli 2009, pp. 72 s., n. 1.9; E. Acanfora, in Echi caravaggeschi in Puglia (catal., Lecce-Bitonto), a cura di A. Cassano - F. Vona, Irsina 2010, pp. 16-19, nn. 5-6; B. Savina, C. S. (Napoli 1580-1614), in I caravaggeschi. Percorsi e protagonisti, a cura di A. Zuccari, II, Milano 2010, pp. 667-677; G. Porzio, Un “San Francesco” di C. S. da ritrovare, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 2010-2011, Napoli 2011, pp. 147-152; Id., Una «cona» (e il suo doppio) di C. S., in Cinquantacinque racconti per i dieci anni. Scritti di storia dell’arte, a cura del Centro Studi sulla civiltà artistica dell’Italia meridionale Giovanni Previtali, Soveria Mannelli 2013a, pp. 279-284; Id., Una tela di C. S. ai Girolamini di Napoli, in Bollettino d’arte, s. 7, XCVIII (2013b), 18, pp. 101-106; M.V. Fontana, in Tanzio da Varallo incontra Caravaggio. Pittura a Napoli nel primo Seicento (catal., Napoli), a cura di M.C. Terzaghi, Cinisello Balsamo 2014, pp. 168 s., n. 27; G. Porzio, ibid., pp. 170-173, nn. 28-29; G. Papi, Novità per C. S., in Davanti al naturale. Contributi sul movimento caravaggesco a Napoli, a cura di F. De Luca - G. Papi, Milano 2017, pp. 7-21; G. Porzio, History, devotion, and myth. A selection of old master paintings (catal., Bruxelles), Napoli 2017, pp. 4-11, 59-61, n. 1.

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Auction Details

Fine Old Masters Paintings

by
Cambi Casa d'Aste
December 10, 2020, 03:00 PM CET

Cambi Casa d'Aste Srl Mura di San Bartolomeo 16, Genoa, GE, 16122, IT

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€1,000€1,999€100
€2,000€9,999€200
€10,000€19,999€500
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€200,000€499,999€20,000
€500,000+€50,000

Terms and Conditions

[17/10/17, 16:07:11] flavia.viola: Cambi Casa d'Aste srl. will be, hereinafter, referred to as "Cambi".
1
Sales will be awarded to the highest bidder and it is under- stood to be in "cash". Cambi acts as an agent on an exclusive basis in its name but on behalf of each seller, according to article 1704 of the Italian Civil Code. Sales shall be deemed concluded directly between the seller and the buyer; it follows that Cambi does not take any responsibility towards the buyer or other people, except for those concerning its agent activity. All responsibilities pursuant to the former articles 1476 and following of the Italian Civil Code continue to rest on the owners of each item.
The Auctioneer's hammer stroke defines the conclusion of the sales contract between the seller and the buyer.
2
The goods on sale are considered as second-hand goods, put up for sale as antiques. As a consequence, the definition given to the goods under clause 3 letter "e" of Italian Consumer's Code (D. Lgs. 6.09.2005, n. 206) does not apply to them.
3
Before the beginning of the auction, an exposition of the items will take place, during which the Auctioneer and his representatives will be available for any clarifications. The purpose of this exposition is to allow a thorough evaluation of authenticity, attribution, condition, provenance, origin, date, age, type and quality of the lots to be auctioned and to clarify any possible typographical error or inaccuracy in the catalogue.
If unable to take direct vision of the objects is possible to request condition reports (this service is only guaranteed for lots with estimate more than 500 euro).
The person interested in buying something, commits himself, before taking part to the action, to analyze it in depth, even with the help of his own expert or restorer, to be sure of all the above mentioned characteristics.
No claim will be accepted by Cambi after the sale, nor Cambi nor the seller will be held responsible for any defect concerning the information of the objects for sale.
4
The objects of the auction are sold in the conditions in which they are during the exposition, with all the possible defects and imperfections such as any cracks, restorations, omissions or substitutions. These characteristics, even if not expressly stated in the catalog, can not be considered determinants for disputes on the sale. Antiques, for their own nature, can have been restored or modified (for example over-painting): these interventions cannot be considered in any case hidden defects or fakes. As for mechanical or electrical goods, these are not verified before the selling and the purchaser buys them at his own risk. The movements of the clocks are to be considered as non verified.
5
The descriptions or illustrations of the goods included in the catalogues, leaflets and any other illustrative material, have a mere indicative character and reflect opinions, so they can be revised before the object is sold.
Cambi cannot be held responsible for mistakes or omissions concerning these descriptions nor in the case of hypothetical fakes as there is no implicit or explicit guarantee concerning the objects for sale.
Moreover, the illustrations of the objects in the catalogues or other illustrative material have the sole aim of identifying the object and cannot be considered as precise representations of the state of preservation of the object.
6
For ancient and 19th century paintings, Cambi guarantees only the period and the school in which the attributed artist lived and worked. Modern and Contemporary Art works are usually accompanied by certificates of authenticity and other documents indicated in the appropriate catalogue entries. No other certificate, appraisal or opinion requested or presented after the sale will be considered as valid grounds for objections regarding the authenticity of any works.
7
All information regarding hall-marks of metals, carats and weight of gold, diamonds and precious colored gems have to be considered purely indicative and approximate and Cambi cannot be held responsible for possible mistakes in those information nor for the falsification of precious items. Cambi does not guarantee certificates possibly annexed to precious items carried out by independent gemological laboratories, even if references to the results of these tests may be cited as information for possible buyers.
[17/10/17, 16:07:23] flavia.viola: 8
As for books auctions, the buyer is not be entitled to dispute any damage to bindings, foxing, wormholes, trimmed pages or plates or any other defect not affecting the integrity of the text and/or the illustrations, nor can he dispute missing indices of plates, blank pages, insertions, supplements and additions subsequent to the date of publication of the work.
The abbreviation O.N.C. indicates that the work has not been collated and, therefore, its completeness is not guaranteed.
9
Any dispute regarding the hammered objects will be decided upon between experts of Cambi and a qualified expert appoin- ted by the party involved and must be submitted by registered return mail within fifteen days of the stroke and Cambi will de- cline any responsibility after this period.
A complaint that is deemed legitimate will lead simply to a re- fund of the amount paid, only upon the return of the item, excluding any other pretence and or expectation. If, within three months from the discovery of the defect but no later than five years from the date of the sale, the buyer has notified Cambi in writing that he has grounds for believing that the lot concerned is a fake, and only if the buyer is able to return such item free from third party rights and provided that it is in the same conditions as it was at the time of the sale, Cambi shall be entitled, in its sole discretion, to cancel the sale and disclose to the buyer the name of the seller, giving prior notice to him. Making an exception to the conditions above mentioned, Cambi will not refund the buyer if the description of the object in the catalogue was in accordance with the opinion generally accep- ted by scholars and experts at the time of the sale or indicated as controversial the authenticity or the attribution of the lot, and if, at the time of the lot publication, the forgery could have been recognized only with too complicated or too expensive exams, or with analysis that could have damaged the object or reduced its value.
10
The Auctioneer may accept commission bids for objects at a determined price on a mandate from clients who are not present and may formulate bids for third parties. Telephone bids may or may not be accepted according to irrevocable judgment of Cambi and transmitted to the Auctioneer at the bidder's risk. These phone bids could be registered.
11
The objects are knocked down by the Auctioneer to the highest bidder and if any dispute arises between two or more bidders, the disputed object may immediately put up for sale again starting from the last registered bid.
During the auction, the Auctioneer at his own discretion is entitled to: withdraw any lot, make bids to reach the reserve price, as agreed between Cambi and the seller, and take any action he deems suitable to the circumstances, as joining or separating lots or changing the order of sale.
12
Clients who intend to offer bids during the auction must request a "personal number" from the staff of Cambi and this number will be given to the client upon presentation of IDs, current address and, possibly, bank references or equivalent guarantees for the payment of the hammered price plus com- mission and/or expenses. Buyers who might not have provided ID and current address earlier must do so immediately after a knock down.
Cambi reserves the right to deny anyone, at its own discretion, the entrance in its own building and the participation to the auction, and to reject offers from unknown or unwelcome bidders, unless a deposit covering the entire value of the desired lot is raised or in any case an adequate guarantee is supplied.
After the late or nonpayment from a purchaser, Cambi will have the right to refuse any other offer from this person or his representative during the following auctions.
13
The commissions due to Cambi by the buyer are 30% of the hammer price of each lot up to an amount of € 400.000 and 26% on any amount in excess of this sum, including VAT. Any other taxes or charges are at the buyer's expenses.
14
The buyer must make a down payment after the sale and settle the residual balance before collecting the goods at his or her risk and expense not later than ten days after the knock down. In case of total or partial nonpayment of the due amount within this deadline, Cambi can:
a) return the good to the seller and demand from the buyer the payment of the lost commission; b) act in order to obtain enforcement of compulsory payment; c) sell the object privately or during the following auction in the name and at the expenses of the highest bidder according to article 1515 of the Italian Civil Code, with the right of the compensation for damages.
15
For objects subjected to notification from the State, in accordance to the D.Lgs. 22.01.2004 n. 42 (c.d. Codice dei Beni Culturali) and following changes, buyers are beholden by law to observe all existing legislative dispositions on the matter and, in case the State exercises its pre-emptive right, cannot expect from Cambi or the vendor any reimbursement or eventual interest on commission on the knock down price already paid. The export of lots by the buyers, both resident and not resident in Italy, is regulated by the above mentioned law and the other custom, financial and tax rules in force. Export of objects more than 70 years old is subject to the release of an export license from the competent Authority. Cambi does not take any responsibility towards the purchaser as for any possible export restriction of the objects knocked down, nor concerning any possible license or certificate to be obtained according to the Italian law.

16
For all object including materials belonging to protected species as, for example, coral, ivory, turtle, crocodile, whale bones, rhinoceros horns and so on, it is necessary to obtain a CITES export license released by the Ministry for the Environment and the Safeguard of the Territory. Possible buyers are asked to get all the necessary information concerning the laws on these exports in the Countries of destination.
17
The "Droit de Suite" will be paid by the seller (Italian State Law n. 663, clause 152, April 22, 1941, replaced by Decree n. 118, clause 10, February13, 2006).
18
All the valuations indicated in the catalogue are expressed in Euros and represent a mere indication. These values can be equal, superior or inferior to the reserve price of the lots agreed with the sellers.
19
These Sales Conditions, regulated by the Italian law, are silently accepted by all people talking part in the auction and are at everyone's disposal. All controversies concerning the sales activity at Cambi are regulated by the Court of Genoa.
20
According to article 13 D.Lgs. 196/2003 (Privacy Code), Cambi informs that the data received will be used to carry out the sales contracts and all other services concerning the social object of Cambi S.a.s.. The attribution of the data is optional but it is fundamental to close the contract. The registration at the auctions gives Cambi the chance to send the catalogues of the following auctions and any other information concerning its activities.
21
Any communication regarding the auction must be done by registered return mail addressed to:
Cambi Casa d'Aste
Castello Mackenzie - Mura di S. Bartolomeo 16
16122 Genova - Italy

Credit card payment limit

Remote payment limit with credit card is 2000,00 euro. To pay larger amounts is necessary to be present in person with the card.

Payments

Buyers must pay all the lots in ten days after the end of the sale.

Shipping Terms

Auction House will help with the shipment, at the buyer's charges