Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, Galleria di Palazzo Reale, Genova nell'età barocca, 2 maggio – 26 luglio 1992, n. 76 (Pan e Siringa); Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, I Miti. Le Fatiche di Ercole, 7 aprile - 7 giugno 1998. Genova, Fondazione Schiffini, Palazzo Durazzo-Brignole, Gregorio De Ferrari. Porto Maurizio 1647 – Genova 1727, 12 luglio – 14 ottobre 2001, n. 5 (Pan e Siringa).
Literature
P. Torriti, Tesori di Strada Nuova. La Via Aurea dei genovesi, Genova 1971, p. 184-187, figg. 201, 202, 203, pp. 186-187; P. Torriti, ibidem, Genova 1982, p.134-136, illustrati pp. 137-138, figg. 166, 167 e 168; G. Gruitrooy, Gregorio de Ferrari, Berlino 1987, pp. 337-338; F. Lamera, "De Ferrari, Gregorio", in Dizionario Biografico degli Italiani, 33, Roma 1987, pp. 715-716; E. Gavazza, "Il momento della grande decorazione", in La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Genova 1987, vol. II, p. 267; E. Gavazza – F. Lamera – L. Magnani, La pittura in Liguria. Il secondo Seicento, Genova 1990, pp. 137-142 e 226-230, illustrati figg. 284-285 (Mercurio e Argo, Perseo e Andromeda); Genova nell'età barocca, catalogo della mostra, Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, Galleria di Palazzo Reale, 2 maggio – 26 luglio 1992, Bologna 1992, n. 76, p. 171, illustrato p. 172, (Pan e Siringa); M. Newcome Schleier, Gregorio De Ferrari, Torino 1998, pp. 129-131, nn. 107a, 107b, 107c; I MITI,Le fatiche di Ercole, catalogo della mostra, Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, 7 aprile - 7 giugno 1998, Genova 1998, illustrati pp. 12-13, figg. 2-3-4: E. Gavazza, "Un'apoteosi di Ercole di Gregorio De Ferrari", in Arte d'Occidente: temi e metodi, Roma 1999, vol 3, pp. 1135-1140; Gregorio De Ferrari. Porto Maurizio 1647 – Genova 1726, catalogo della mostra, Genova, Fondazione Schiffini, Palazzo Durazzo-Brignole, 12 luglio - 14 ottobre 2001, Carrara 2001, nn. 5, 5a, 5b, illustrati pp. 24-25.
Provenance
Genova, Palazzo Cattaneo Adorno di Strada Nuova.
Notes
Le sette magnifiche tele di Gregorio de Ferrari qui presentate (Perseo e Andromeda, Pan e Siringa, Mercurio e Argo, Ercole e l'idra di Lerna, Ercole e il toro di Creta, Ercole e Anteo e Ercole sul rogo funebre) costituiscono una serie completa di grandi teloni decorativi che fino a qualche decennio fa adornavano un salone del piano nobile di palazzo Cattaneo-Adorno in Via Garibaldi a Genova. La dimora, ultima delle edificazioni cinquecentesche di quella che allora si chiamava "Strada Nuova", poichè venne concepita come moderno rettilineo residenziale per l'alta aristocrazia genovese, fu costruita tra il 1585 e il 1588 per Lazzaro e Giacomo Spinola e fu inserita da Rubens nella serie dei Palazzi di Genova che il grande maestro fiammingo volle incidere e pubblicare al ritorno dal suo soggiorno nella Superba. Il palazzo passò poi dai marchesi Spinola ai marchesi Adorno, che già dal primo Seicento lo sottoposero a fidecommesso. Proprio in un salone del palazzo si trovavano le sette grandi tele, per le quali non sono ancora chiare le circostanze della committenza. Torriti (cfr. Tesori di Strada Nuova, Genova 1970) suggerì a suo tempo per l'intero ciclo una datazione intorno al 1715-20, collocandolo nella fase estrema della carriera dell'artista; mentre Ezia Gavazza (cfr. La pittura in Liguria. Il secondo Seicento, Genova 1990), individuando nella serie di Ercole un maggior classicismo, propose di scandire i due gruppi in momenti leggermente diversi, datando i quattro Ercole sullo scorcio del secolo XVII e le tre tele tratte dalle Metamorfosi in un momento di poco successivo e comunque entro i primi anni del Settecento. Lo stesso palazzo ospitava, oltre a una ricca serie di arazzi cinquecenteschi, un'eccellente quadreria, fra cui ricorderemo innanzitutto il Ratto delle Sabine di Luca Giordano anch'esso offerto in queste sale (lotto 69); i due capolavori di Rubens oggi in Pinacoteca Sabauda a Torino: Ercole nel giardino delle Esperidi e Deianira e la Fama; il sublime Sansone e Dalila di Gioacchino Assereto; tre magnifiche tele dei Gentileschi padre e figlia: il Sacrificio d'Isacco di Orazio oggi presso la Galleria Nazionale di palazzo Spinola e la splendida coppia di pendant con Cleopatra e Lucrezia di mano di Artemisia; la Santa Caterina di Domenico Fetti e, infine, il grandioso S. Carlo in gloria di Giulio Cesare Procaccini, originariamente collocato nella cappella gentilizia dei marchesi Cattaneo nella chiesa di S. Francesco in Albaro.
Gregorio De Ferrari fu l'interprete più fantasioso e interessante del tardo barocco genovese. Partendo dalla lezione di Valerio Castello, di Giovan Battista Gaulli e sopratutto di Domenico Piola - di cui aveva sposato la figlia e con il quale condivise per anni una prolifica bottega impegnata, nell'ultimo quarto del secolo XVII, in numerosi e importanti cantieri decorativi - egli seppe coniare un linguaggio personalissimo, visionario e fantastico, che trova libero sfogo e pienezza delle forme nelle tele mitologiche che costituiscono questa serie. Sintesi più esplicita dell'arte di Gregorio è la posa serpentinata in cui è colta Siringa in fuga, con quello svolazzo di panni che fa da contrapposto allo splendido collo di cigno disteso a cercare un rifugio. Le pose sforzate e artificiose di Mercurio e Argo, l'eleganza sottile delle figure femminili, i panneggi ariosi, l'impostazione complessa e su assi diagonali delle composizioni, la freschezza dei colori pastello e dei bianchi spumeggianti, stesi con vigore, ma di gusto leggero, scherzoso, già Rococò, fanno di questi dipinti un saggio esemplare dell'opera di Gregorio de Ferrari.
Il Perseo e Andromeda era originariamente collocato al centro della parete sinistra del salone e aveva come laterale destro l'Ercole e l'idra di Lerna e come laterale sinistro l'Ercole e il toro di Creta. L'episodio è illustrato non nel consueto momento della liberazione di Andromeda incatenata - più volte affrontato in età barocca a partire dal celeberrimo prototipo di Tiziano - ma nell'istante in cui Andromeda, ormai libera, si riposa adagiata ai bordi del mare. Il dipinto diventa così pretesto per illustrate un momento di riconquistata serenità dove il ristoro di Perseo dalle scampate peripezie è simboleggiato dalla lavanda delle mani con l'acqua elegantemente versata da una conchiglia. Pegaso, il cavallo alato, pascola all'ombra di un boschetto. Andromeda, dalla pelle eburnea fra le ninfe marine, si distende voluttuosa sorretta dai delfini, mentre le armi di Perseo riposano sulla riva a rappresentare la pace ritrovata. Gli splendidi rami di corallo che fanno da pendant al rosso del manto di Perseo costituiscono il finale a sorpresa dell'intricata vicenda: si tratta infatti del sangue sgorgante dalla testa di Medusa distrattamente abbandonata sugli scogli e pietrificato dal suo stesso riflesso nello scudo metallico dell'eroe. La figura di Perseo sarebbe il frutto della collaborazione di Gregorio con il figlio Lorenzo. La tela con Pan e Siringa era collocata a decorazione del soffitto. Ovidio racconta che Pan inseguì una ninfa d'Arcadia fino al fiume Ladone, che possiamo riconoscere nel vecchio disteso a sinistra circondato da fanciulle danzanti. Bloccata dal corso del fiume, la ninfa implorò di essere trasformata piuttosto che cadere nelle mani del dio dei boschi. Dal giunco in cui si tramutò, Pan costruì lo strumento che da lei prende il nome, ispirandosi al suono prodotto dal vento che soffiava fra le sue canne. La serie si concludeva, sulla parete sinistra del salone, con il Mercurio e Argo fiancheggiato dall'Ercole e Anteo e dall'Ercole sul rogo funebre. In quest'ultimo degli episodi tratti dalle Metamorfosi, Gregorio illustra il messo degli Dei mentre è intento ad addormentare il pastore Argo, colpevole di aver incluso nel suo gregge la ninfa Io, fanciulla fra le tante amate da Giove che Giunone aveva tramutato per vendetta in vacca. Se la visionarietà di Gregorio trasforma il Dio in una figura efebica riconoscibile solo dalle ali sul capo e i sandali alati, l'ampio brano di pittura "animalier" sulla sinistra si riallaccia a una lunga tradizione genovese che va da Sinibaldo Scorza a Giovanni Benedetto Castiglione, da Jan Roos a Bartolomeo Guidobono.
I dipinti sono stati dichiarati di interesse storico artistico con decreto ministeriale in data 1 giugno 1989.